Porto Azzurro Santuario della Madonna di Monserrato

Porto Azzurro Porto Azzurro LI

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Situato entro una stretta vallata a circa tre chilometri dal centro di Porto Azzurro, fu costruito nel 1606 da Josè Pons, per un decennio governatore della fortezza di Longone.

Lo scrittore francese M. Valerj, parlando della visita fatta al santuario, afferma che "se le strade e le grandi costruzioni annunciano la dominazione dei romani oppure dei francesi l'impero, gli eremitaggi e i luoghi di devozione, visitati dai pellegrini, sono le tracce più caratteristiche e più durevoli della dominazione spagnola".

A questa tradizione nazionale non venne meno il Pons che era di animo pio e che, avendo intensamente subito il fascino suggestivo offerto da quella vallata, decise di erigervi un santuario che fosse dedicato alla Madonna di Monserrato, a ricordo del celebre santuario omonimo esistente in Catalogna, nei pressi di Barcellona; e lo eresse su uno spicchio di roccia e fiancheggiato da tre lati da una chiostra di monti, in uno scenario di selvaggia e grandiosa bellezza.

Nell'interno, sull'altare in marmo, c'è l'immagine di una Madonna nera che è copia di quella esistente nel santuario spagnolo su citato.

Nel suo testamento, rogato a Madrid nel 1616, il Pons assegnò al santuario una cospicua dotazione consistente in terreni, censi, livelli e un mulino in loc. Reale; dotazione legata però ai frati e al convento di S. Agostino in Piombino, con l'obbligo però di tenervi in perpetuo un sacerdote che provvedesse alla celebrazione della Messa giornaliera.

I frati accettato il legato, costituirono, presso il santuario, un conventino di 4 o 5 religiosi, subordinato a quello di Piombino e, a quanto sembra, essi medesimi provvidero all'ufficiatura. (informazioni da www.diocesimassamarittima.it)

Il santuario è aperto al pubblico nel periodo estivo, ed ogni anni 8 Settembre si celebra a Porto Azzurro "la Festa della Madonna di Monserrato",processione religiosa per le vie del paese.

 

La storia del Santuario di Monserrato di Porto Azzurro

La lunga storia del Santuario di Monserrato iniziò casualmente nel 1606, allorquando il primo governatore del nascente Presidio Spagnolo di Longone, don Joseph Ponce Y Leon, riconobbe nelle aspre rocce di una vallata a nord di Barbarossa, le stesse che, in Catalogna, a Monserrat, cingevano il famoso monastero al quale, per origini, si sentiva particolarmente legato.

Una piccola cappella di chiara matrice barocco-iberica con la sua alta cupola divenne da allora custode del dipinto della “Morenita” spagnola, le cui “grazie” erano testimoniate da numerosi ex voto conservati (sino a qualche decennio fa) nella sagrestia della chiesetta.

Per tutto il Settecento, il Santuario e l’annesso romitorio (nel quale dimoravano 5 6 tra frati ed eremiti) furono tappa indeclinabile del pellegrinaggio elbano, di quel pellegrinaggio caratterizzato da marinai, contadini e predicatori d’ogni risma; San Paolo della Croce, per esempio, in uno degli innumerevoli viaggi compiuti all’Elba, identificò il Santuario e l’anacoretico sito che ne faceva da corona come il luogo ideale per fondare la sua nascente comunità: i “Passionisti”. Per ben due volte (nel 1729 e nel 1741), però, il clero longnese rifiutò ogni approccio all’idea e così, nel 1820, anche l’ultimo romito abbandonò la chiesetta di Monserrato, lasciando l’onere ad un cappellano di celebrarvi messa e risiedervi saltuariamente, perlomeno fino al 1846.

Da allora, per oltre mezzo secolo, l’oblio.

Ristabilita l’usanza di festeggiare la “Madonna Nera” l’8 settembre, quel giorno un gran numero di devoti provenienti da tutta l’isola percorrevano a piedi, alcuni scalzi, la vallata per giungere puntuali alle messe che don Carlo Geri, parroco di Portolongone (poi Porto Azzurro) cominciava a celebrare dalle otto del mattino, risiedendo in loco, comunque, per tutto l’ottavario.

L’usanza della processione religiosa che dal “Pinone” conduce al Santuario nacque invece per volontà di don Sergio Trespi a metà degli Anni Ottanta; e da subito, per la popolazione, fu come riappropriarsi del passato, di quel passato cui nessuno avrebbe potuto dispensare: Monserrato è di tutti, e quel giorno tutti vi sarebbero saliti, magari non in processione, ma in solitaria, ossequiando comunque quella Madonna dal volto scuro cui più volte, in silenzio, si erano appellati; e ogni anno l’usanza si ripete.

In quell’operazione matematica che è Monserrato (complessa, complicata ma perfetta) in cui il diaspro (“pietra magica” già per Greci e Galli), l’acqua delle sue sorgenti e l’incredibile posizione sembravano identificare bene la ricerca del “locus amoenus” condotta dagli spagnoli e la conseguente realizzazione di quella “palestra caelestis” cui l’esperienza ultraterrena, quella anelata dagli eremiti, si realizzava quaggiù, sulla terra, il tempo non è mai trascorso.

E come ricordava qualche tempo fa una suora: “L’abito pesante, difficile da indossare, la cornetta inamidata, difficile da non notare, vecchie scarpe nere, difficili da calzare: queste le tre cose alle quali non potevamo mai separarci, mai, nemmeno d’estate, sotto il sole cocente che baciava le nostre vesti e i nostri volti, stanchi e soddisfatti. Ma ad ogni pensiero triste, la risata dei bambini ci ridava speranza, sì, speranza di continuare la nostra missione, malgrado i problemi, malgrado tutto. Così ogni anno ci incamminavamo fiduciose verso la casa di Maria, verso Monserrato, portando i ragazzi e le donne, anche quelle che, curiose, ci fermavano per strada vedendoci partire. Perché in fondo ogni persona anela a Dio, all’Infinito, ma è troppo orgogliosa, distratta per capirlo. Quanta fatica salire a Monserrato, quanta stanchezza e non sentirla, non sentirla perché concentrate a vegliare sui ragazzi, attente ai pericoli, non sentirla per il ‘’Vergin Santa’’ e ‘’Mira il tuo popolo’’ stornellati all’unisono. Anno dopo anno, siamo sempre tornate alla nostra Madonna Nera, con lo stesso spirito, con le stesse gambe, forse un po’ più deboli, ma con eguale volontà d’animo che ha segnato la nostra esistenza: sempre le stesse, solo con qualche ruga in più.! Come passano veloci gli anni, ancora oggi, come avevano fatto quelle tre suore che al tempo della Liberazione salirono fiduciose al Santuario per annunciare agli sfollati lo sbarco alleato, mi incammino, anzi, ci incamminiamo, per poter dare a Maria la lieta notizia, che oggi tutti noi siamo lassù per lei, per festeggiarla e onorarla!”